La nuova folle sfida, quella del planking challenge, dopo quella di samara challenge, sbarca anche in Italia. Un’altra sfida quella lanciata su Tik Tok, i cui protagonisti sono ragazzini tra i 10 e i 14 anni che, emulando i loro coetanei, si lanciano sulle auto in corsa di ignari automobilisti per cercare di atterrare o di sedersi sul cofano. Il tutto ovviamente ripreso dagli amici con il cellulare e il video viene condiviso sui social. Supera la sfida chi riesce a non farsi investire.

Obiettivo? Followers, video che diventa virale, like.

Attribuire questi comportamenti all’isolamento ed alla solitudine che hanno vissuto i ragazzi durante il lockdown o al troppo tempo a disposizione che non si sa più come riempire, credo sia riduttivo e come al solito ci ritroviamo a dare spiegazioni che in qualche modo possano giustificare queste “prove”.

Quelle delle challenge, dei giochi per superare i propri limiti, delle sfide in rete tra giovanissimi sono purtroppo una realtà che esiste nel nostro paese ormai da diversi anni. Inutile continuare a trovare giustificazioni o provare a metterci la “pezza” perché il problema è ben più radicato ed è un problema che esisteva già prima del covid. E rappresenta solo la punta dell’iceberg.

Indagare quale sia la reale problematica credo sia doveroso e non è possibile continuare ancora ed ancora ad addebitare la responsabilità a qualcosa “altro” da noi. Forse la risposta è più semplice di quanto crediamo, ma spaventa. Spaventa perché nel web, nei social, non c’è altro che una continuazione di quanto avviene nella realtà. Gesti plateali e prove di forza che certificano il potere. Lo certificano in base ai consensi e ai like che si riescono ad avere. Si ottiene popolarità e riconoscimento sociale.

E non è forse la stessa cosa che viene ricercata nella vita reale? Riconoscimento, accettazione, popolarità. Stiamo insegnando ai nostri ragazzi che solo con la forza si possono raggiungere risultati, che solo se non si ha paura possiamo far vedere a tutti quanto siamo imbattibili ed invincibili!

Ma siamo davvero sicuri che sia questo quello che vogliamo?

Bersagli di una metastasi sociale che promuove e diffonde la “CULTURA DELLO SCARTO”, quella in cui ognuno diviene “patrimonio” per qualcun altro, fatta di atti aggressivi, di prevaricazioni, di violenza, di insulti, di ricatti, di gesti mancati o subiti, quella in cui se riesco a schiacciare te, divento più forte io. E se riesco a dimostrare che riesco a superare tutti i limiti, anche quello della morte, allora sono davvero forte.

Questa è l’ennesima dimostrazione che abbiamo fallito come educatori, come genitori, come membri della comunità educante. Già abbiamo fallito. Tutti! Nessuno escluso!

E prendo sempre più coscienza che oltre la coltre, pur vera della cronaca, c’è il paese quello in cui continua a crescere in modo incontrollato l’individualismo, quello che rincorre il potere, quello che illude!

Abbiamo dato la colpa alla mancanza di tempo, poi alla tecnologia, poi allo spazio ed alla libertà, trincerandoci dietro scuse per non assumersi ciascuno la propria responsabilità.  Già la responsabilità genitoriale, che ci obbliga ad accompagnare i nostri figli, a farci esempio, regola e controllo.

Stiamo architettando e costruendo la convinzione pericolosa di poter vivere per sempre nel paese dei balocchi! Ma è giunto il momento di aprire gli occhi, di intervenire, di mostrare ai nostri futuri adulti

l’altra faccia della medaglia, quella in cui servono competenze, quella in cui serve fare ogni singolo gradino per arrivare in cima alla scala, serve provare paura, serve chiedere aiuto, serve imparare a riconoscere i propri limiti. E per svicolarsi dai diktat del mondo fuori è necessario prendere coscienza del nostro mondo “dentro”. Lo dobbiamo a noi e ai nostri figli.